IDONEITA’ DEL MODELLO ORGANIZZATIVO E CONTEMPORANEA CONDOTTA FRAUDOLENTA DEGLI AUTORI DEL REATO PRESUPPOSTO PER L’EMISSIONE DI UNA SENTENZA ASSOLUTORIA NEI CONFRONTI DELL’ENTE (CASS., SEZ. VI PEN., SENTENZA N. 23401/22)

(di Margherita Rossi)

L’art. 6 del D.lgs 231/01 stabilisce che: “Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell’articolo 5, comma 1, lettera a), l’ente non risponde se prova che

a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi
b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; 
c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione
d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b). 

Con la sentenza n. 23401/2022, la Sez. VI penale della Suprema Corte si sofferma sia sul concetto di idoneità del modello, sia su quello di elusione fraudolenta”.

Il Collegio, innanzitutto, chiarisce cosa si debba intendere per “modello idoneo” a prevenire la commissione di reati della stessa specie di quelli verificatesi (art. 6 d.lgs 231/01).

Tale tematica risulta assai rilevante in quanto pur essendo molto importante la valutazione sulla idoneità del Modello, la giurisprudenza non aveva fornito alcuna indicazione precisa di quali fossero gli elementi in grado di poter affermare che un Modello è idoneo.

Infatti, in passato la giurisprudenza si era limitata a operare un rinvio secco all’art. 6 d. lgs. 231/2001, affermando che il Modello, per essere idoneo, deve “rispondere alle esigenze previste dal 2° comma dell’art. 6” (Trib. Roma, 4 aprile 2003), ovvero a sostenere l’idoneità dello stesso qualora “preveda strumenti idonei a identificare le aree di rischio nell’attività della società” e se “individua gli elementi sintomatici della commissione di illeciti” (Trib. Milano, 28 ottobre 2004”.

Sul tema si deve anche fare riferimento alla sentenza dell’Ufficio indagini preliminari Milano, 8 marzo 2012, secondo cui “è la libertà di organizzazione dell’attività economica ad impedire che il grado di dettaglio delle previsioni legislative si spinga sino al punto di enucleare distinte tipologie di modelli in funzione delle innumerevoli possibilità organizzative e dell’ormai ragguardevole numero dei reati iscritti nell’ideale catalogo di parte speciale del d. lgs. n. 231 del 2001. Chi esercita un’attività economica in forma organizzata è esigibile che sappia come evitare che l’organizzazione sia usata quale strumento di perpetrazioni di reati. Non solo: chi esercita un’attività economica in forma organizzata, come stabilisce, ed anzi per il fatto in sé di stabilire, in perfetta autonomia, la complessità, il modo d’essere ed il funzionamento dell’organizzazione, con individuazione dei centri decisionali e degli apparati di controllo secondo il flusso delle decisioni e, di ritorno, delle informazioni sui controlli, così è gravato dell’onere di plasmare il modello organizzativo e gestionale adottato sulla concretezza della struttura, riempiendo di contenuti, e perciò contribuendo a disciplinare, il tessuto delle norme antireato»”.

Dunque, la Corte, nella sentenza in epigrafe, conscia dell’importanza della tematica de qua, evidenzia, innanzitutto che il suddetto art. 6 non determina alcuna inversione dell’onere della prova: sarà l’accusa a dover dimostrare sia l’esistenza di un illecito penale in capo alla persona fisica della compagine sociale, sia che la condotta di tale individuo sia collegata teleologicamente all’interesse dell’Ente, sia la sussistenza di una colpa in organizzazione della persona giuridica.

Per verificare l’idoneità di un modello non ha alcun rilievo che un reato sia stato posto in essere: se così non fosse, infatti, la responsabilità dell’Ente mai verrebbe esclusa, poiché, vista la consumazione del delitto, il modello si rivelerebbe sempre inidoneo.

Il rischio reato viene ritenuto accettabile solo quando modello e le regole di comportamento ivi contenute non possano essere aggirate, se non “fraudolentemente”.

Pertanto il Giudice per valutare l’idoneità del modello dovrà collocarsi idealmente nel momento in cui il reato è stato commesso e dovrà verificare la prevedibilità e la evitabilità qualora fosse stato adottato il modello virtuoso di comportamento (c.d. “prognosi postuma”). Tale valutazione dovrà basarsi anche su elementi di fatto concreti raccolti in istruttoria.

La Corte, poi, si interroga su quale debba essere il parametro per valutare l’adeguatezza del modello organizzativo: non basta che il modello siano conformi alle linee guida elaborate dagli enti rappresentativi di categoria e ai comunicati del Ministero della Giustizia, ma nel caso sia conforme a quei codici di comportamento, il Giudice sarà tenuto a specificare le motivazioni per cui ritiene sussistente la colpa in organizzazione dell’Ente, individuando la specifica disciplina di settore  che ritenga violata.

In ogni caso la predisposizione di procedure complesse, con la necessaria partecipazione di differenti articolazioni dell’organizzazione dell’ente, ciascuna secondo specifiche competenze, può ritenersi un congruo presidio preventivo.

Inoltre, il Collegio afferma che le lacune o le debolezze di un modello possono condurre a ravvisare una responsabilità dell’ente soltanto se esse abbiano avuto un’efficienza causale nella commissione del reato presupposto da parte del soggetto apicale, nel senso che la sua condotta sia stata resa possibile, anche in modo concorrente, proprio dall’assenza o dall’insufficienza di un presidio nel modello. Invece, nel caso in cui si ravvisasse che, pur in presenza di quel presidio, il soggetto apicale avrebbe comunque potuto commettere il reato presupposto, il modello non potrà essere considerato inidoneo.

La Corte, poi, si sofferma sul concetto di “elusione fraudolenta” da parte dei soggetti apicali dei modelli organizzativi.

Per elusione si intende necessariamente una condotta munita di connotazione decettiva, che consenta di sottrarsi con malizia ad un obbligo o nell’aggiramento di un vincolo, mentre per “fraudolentemente” si indica non una semplice violazione delle regole, ma una condotta ingannatoria.

Dunque, l’esonero dell’ente dalla responsabilità si ha solo quando la condotta dell’organo apicale si concreta in una dissociazione dello stesso dalla politica aziendale, in tale ipotesi, quindi, il reato è frutto di una scelta personale della persona fisica, realizzato non a causa di un’efficienza organizzativa, ma piuttosto, nonostante un’organizzazione adeguata, attraverso una condotta decettiva.

Avv. Margherita Rossi